Il settore dei videogiochi sta conoscendo un’espansione ormai inarrestabile. Dai tempi pionieristici di Pong e Space Invaders, alla diffusione dei MMORPG (i giochi di ruolo multiplayer online), passando per saghe, titoli sandbox o open world in cui il giocatore è sempre meno vincolato ad una trama pre-impostata, per arrivare a realtà come Fortnite all’intersezione tra gioco e metaverso, molte cose sono cambiate in termini di qualità, diffusione e rilevanza culturale. Diamo un’occhiata più da vicino a questo mondo e alle chance che ne scaturiscono.
Uomini, donne, conferme e sorprese.
L’immagine del videogiocatore maschio, magari un po’ nerd, attaccato giorno e notte a una console ha ormai fatto il suo tempo. E le recenti statistiche sulla distribuzione di gender tra i gamers smentiscono ulteriormente questo stereotipo, se è vero che la quota di videogiocatrici rappresenta il 45% del totale. A questo equilibrio, tuttavia, non corrisponde ancora una vera inclusività a tutto tondo: non solo perché, se guardiamo ai giochi imperniati su personaggi (dunque non i rompicapo alla Candy Crush), quasi l’80% dei protagonisti sono di sesso maschile; ma anche per i gravi (e non isolati) casi di molestie e sessismo che hanno interessato grosse realtà del settore come Ubisoft ed Activision. Corrisponde invece maggiormente alle attese la suddivisione delle preferenze, che vede i “picchiaduro” e in generale i giochi con molta azione più citati tra i favoriti dei maschi, rispetto ai puzzle games, più rilevanti per le giocatrici donne. Diversa è anche l’intensità della passione: sono più numerosi i maschi che indicano il gaming come hobby di gran lunga principale, laddove più donne lo indicano all’interno di una rosa più ampia e differenziata di passatempi.
Aumentano le piattaforme, i giocatori e la condivisione
Dal punto di vista della diffusione, sicuramente ha aiutato la grandissima popolarità dei giochi su smartphone (come Angry Birds o il già citato Candy Crush) o utilizzati tramite social (come Farmville). Il risultato è che il numero di videogamer nel mondo è in costante ascesa. Erano quasi due miliardi nel 2015 e secondo le previsioni nel 2023 verrà superato il tetto dei tre miliardi. La condivisione incentivata dal gaming online ha sicuramente favorito la diffusione del fenomeno, soprattutto tra i più giovani (che gusto c’è a giocare a Fortnite senza connettersi in audio con gli amici?). Ma attenzione: nonostante si inizi a giocare sempre più presto, l’età media dei videogiocatori non è bassa come si potrebbe pensare. Anche grazie alla diffusione di diversi tipi di game su diverse piattaforme, l’età media dei videogiocatori oscilla infatti tra i 35 e i 44 anni (dati USA).
Nuove esperienze culturali
I budget dei videogame (e il business connesso, come dimostrano le cifre monstre dell’acquisizione di Activision da parte di Microsoft) sono sempre più alti, equiparabili a delle vere e proprie produzioni. Attori, voice talent, narratori, sceneggiatori, artisti… la qualità dei prodotti, soprattutto quelli dedicati innanzitutto alle console, si sta innalzando sempre più. Non a caso, due titoli usciti negli ultimi anni quali Red Dead Redemption e Death Stranding sono ormai considerati a tutti gli effetti dei prodotti di alto rilievo culturale. Pertanto non sorprende che il nome di Hideo Kojima, creator di Death Stranding, circoli sempre di più anche al di fuori del mondo dei videogamer, al pari di quelli dei grandi registi o autori.
E i brand?
L’allargamento costante della platea dei gamer in termini sociodemografici rende i videogame un touchpoint estremamente appetibile anche per i marketer. Tralasciando il fenomeno degli advergames, in cui i giochi stessi nascono in tutto o in parte come strumento di promozione di un brand, così come la presenza di banner o contenuti video all’interno delle app di mobile gaming, è sicuramente l’in-game advertising (ovvero il collocamento di contenuti pubblicitari più o meno “blended” nell’esperienza di gioco) a rappresentare il fenomeno più interessante. Da questo punto di vista, il mondo virtuale replica le esperienze di quello reale rispetto a fenomeni quali il product placement e l’above-the-line (quest’ultimo sotto forma di spazi pubblicitari integrati nella grafica e nell’esperienza del gioco, come i cartelloni pubblicitari negli stadi degli e-sport). In particolare, il dynamic in game advertising (DIGA) rappresenta probabilmente “the best of both worlds”, mixando l’aspetto mimetico rispetto al mondo reale (cartelloni pubblicitari nei giochi) con le potenzialità del mezzo digitale: questi spazi sono infatti a disposizione dei media buyer in quanto targettizzabili, ad esempio, per età e area geografica del giocatore. Un’ulteriore, preziosa occasione per i brand di intercettare in modo mirato un pubblico sempre più numeroso e differenziato.