Gli ultimi dati della Federazione Internazionale Robotica danno l’Italia in sesta posizione per numero globale di installazioni, con un livello di copertura di prospect per singola azienda superiore a qualsiasi altra nazione affine. Nondimeno, la recente mappatura del mercato condotta da HowToRobot.com, il centro globale di robotica, ha rilevato un potenziale di crescita nel settore ancora formidabile.
Tra i fattori chiave, l’expertise delle circa 700 aziende italiane nel servire il comparto manifatturiero; ma anche tessile e cosmetico risultano segmenti in cui il Bel Paese è fortemente posizionato sul piano dell’implementazione robotica.
Quali sono i grandi hub italiani “d’importazione”?
Kuka Robotics, divisione torinese dell’omonimo leader tedesco (oggi di proprietà cinese), genera unità per svariati settori, tra cui automotive, elettronica, beni di consumo, logistica, e-commerce, salute e robotica dei servizi. On top, svettano i parametri di sicurezza raggiunti. Nei cosiddetti cobot - i robot collaborativi - la rapidità dei movimenti si adatta in base alla presenza o meno dell’uomo; in altri casi, “pelli intelligenti” bloccano ogni funzionalità dei sistemi al minimo contatto con la cute umana. Kuka flexibleCUBE, invece, con la sua speciale saldatura ad arco, è un esempio di sicurezza per la produzione di carrozzelle per bambini.
Yaskawa, brand giapponese, è presente in Italia con 3 sedi ubicate nel Nord. Con un core business in grado di servire industria mineraria, ingegneria meccanica, automotive, packaging, lavorazione del legno, industria degli ascensori, tessile e semiconduttori, commercializza soluzioni assai evolute specie nella sfera delle energie rinnovabili.
Comau, altro leader globale nel campo dell’automazione situato sempre nel torinese, affianca ad eccellenze produttive come PURE, progetto per la salubrità degli ambienti, un grande impegno in ottica di formazione professionale. Ne è un esempio la “Manifacturing Academy”, progetto avviato in questi giorni rivolto a diplomati, laureati ma anche disoccupati, che ha l’obiettivo di colmare il gap tra le imprese in cerca di competenze 4.0 e i profili professionali che si affacciano al mercato del lavoro.
Italia generatrice di efficienti realtà e talenti.
Nell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, dove nel 2018 è nata la protesi Hannes, mano robotica che replica fedelmente il movimento di una presa reale, di recente ha visto la luce Plantoide, il primo robot al mondo ispirato alla vita e al movimento delle piante. Per rilevare acqua o agenti chimici nel sottosuolo, Plantoide allunga le sue radici meccaniche provviste di sensori tramite srotolamento o l’iniezione di materiale con una stampante 3D.
Innovazioni notevoli anche nel medicale: nel 2021 a Bologna è stato rimosso completamente un tumore al fegato con l’ausilio di un robot. La barese Masmec, già performante nell’automotive, con la sua divisione Biomed produce dispositivi-guida per gli interventi chirurgici e workstation per i laboratori di diagnostica e ricerca. Alla Khymeia, il merito di aver sviluppato l’ecosistema VRRS-Virtual Reality Rehabilitation System, il più completo e clinicamente avanzato al mondo per la riabilitazione e la tele-riabilitazione. Da segnalare anche l’attività di Era Endoscopy, spin-off della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa; il suo robot Endotics, esegue una colonscopia sicura e indolore, come fosse un bruco che si allunga e ritrae nell’intestino della persona senza creare fastidi.
Anche nella robotica industriale l’Italia è un faro: la torinese Makr Shakr ha ideato il bartender che crea più di 80 drink all’ora gestendo 158 diverse bottiglie alla volta. Della Demur di Savoca (Messina), l’isola robotizzata per la manipolazione degli agrumi; non un semplice pallettizzatore ma un sistema “Soft Drop” che gestisce intelligentemente la frutta, movimentando delicatamente più di mille cassette l’ora in appena 10 mq.
E poi ci sono i singoli talenti, come l’ingegnere lodigiano Marco Dolci, che dalla sede Nasa di Pasadena muove le braccia della sonda marziana Perseverance, prelevando campioni dal terreno utili alla ricerca.
Tutto straordinario, ma… è vero che i robot ruberanno sempre più lavoro all’uomo?
Nel 2019, uno studio dell’Oxford Economics aveva lanciato l’allarme, prevedendo nel 2030 venti milioni di lavoratori in meno a causa dell’automazione. In realtà, altri studi oggi parlano del fenomeno chiamato “reinstatement effect”: più cresce la robotica, più cresce l’occupazione di chi svolge un ruolo complementare. Ecco perché nell’area dei lavori industriali in meno di 10 anni gli addetti ai robot sono aumentati del 50%. Un argomento sul tavolo anche dello scorso World Economic Forum, che per il 2025 ha stimato 75 milioni di disoccupati in più, compensati però da 133 milioni di nuovi lavoratori più specializzati.
Quindi, conviene affidarsi al progresso e attendere. Con la fiducia di un Paese, il nostro, finalmente in ripresa.