Un trend originato dalla pandemia
Nato negli anni Duemila, il mercato dei podcast è stato oggetto di una crescita inarrestabile negli ultimi anni, con un’importante spinta data dalla pandemia e dall’aumento di fruizione di contenuti digitali.
Anche se nella fase post-pandemica il boom di nuovi podcast è diminuito (1,1 milione di titoli lanciati nel 2020 contro 219.000 nel 2022), i dati riflettono l’integrazione sempre maggiore dei podcast nelle nostre abitudini di consumo.
Infatti, nel 2023 in Italia si registrano 16,4 milioni di ascoltatori, segnando un notevole incremento dai 13 milioni rilevati nel 2021.
Nella fascia compresa tra i 18 e i 64 anni, oggi il 24% dichiara di consumare questa tipologia di contenuto almeno una volta al mese.
Le criticità
Nonostante il grande successo, i podcast hanno però dei limiti.
Innanzitutto, la difficoltà nel trovare un modello di business adatto: i contenuti dietro subscription non sembrano attirare gli ascoltatori, e il pubblico non è così assiduo e numeroso da giustificare la creazione di un mercato pubblicitario specifico.
L’unica forma di advertising che sembra funzionare è quella dei branded podcast, cioè prodotti audio creati intorno a un brand sponsor, che però faticano ad emergere in una library di contenuti in cui la maggioranza degli ascolti è concentrata su una manciata di hit.
I podcast che riscuotono più successo sono infatti quelli che poggiano su una solida reputazione di brand come testate giornalistiche, pagine di informazione e divulgatori già noti su altri canali. Un altro genere in voga sono i podcast unscripted di interviste in cui la popolarità e il fanbase dell’ospite famoso portano ascolti.
Altri ostacoli derivano dalle caratteristiche proprie del mezzo, tra cui l’impossibilità dei contenuti audio di comparire tramite ricerca di parole chiave e l’obbligata fruizione lineare, una modalità superata per il pubblico abituato ai nuovi media digitali.
L’era dei podcast video
A quest’ultima difficoltà, la soluzione viene avanzata dai podcast video. Questa tipologia si sta facendo sempre più strada, con Youtube che si conferma la prima scelta anche come piattaforma per il consumo (e la ricerca) di podcast.
Le motivazioni dietro alla popolarità del formato video sono da ricondurre alla sua maggiore capacità di ingaggiare il consumatore grazie all’aggiunta della mimica facciale e dei gesti che aiutano la comprensione del contesto e delle emozioni dei protagonisti, alla possibilità di lasciare il contenuto video in background durante altre attività o di sfogliarlo in base a ciò che è visibile sullo schermo e infine alla viralità di spezzoni e clip diffusi sui canali social come mezzo di promozione per il contenuto integrale.
Youtube è anche all’avanguardia per quanto riguarda l’algoritmo di raccomandazione e la capacità di introdurre ai podcast anche chi si trova sulla piattaforma per il consumo di video classici.
Aprire un podcast è vantaggioso per i brand?
A questo punto, il mercato sembra rilasciare più titoli di quanto sia la richiesta effettiva. Creare un podcast di brand per cavalcare l’onda di popolarità potrebbe dunque rivelarsi anche controproducente, considerate le spese in termini di denaro, tempo e impegno necessarie per generare un contenuto interessante e di qualità.
Per le aziende è quindi necessario interrogarsi su quanto la loro proposta sia differenziante e in grado di attirare pubblico, tenendo comunque a mente che il podcast può rappresentare un asset che aggiunge valore e accresce la reputazione di brand, oltre a solidificare il legame con una propria community già esistente.